Critica

Stefano Papetti L’arte della luce nell’opera di Carla Abbondi

Il desiderio di percorrere strade nuove, sostenuto da una profonda sensibilità, connota il percorso biografico ed artistico di Carla Abbondi: gli studi classici, la attività di fisioterapista, la passione per lo sport e per l’equitazione compongono un melange che rivela la sua volontà di spaziare attraverso diverse esperienze e l’essere una pittrice autodidatta si combina perfettamente in questo quadro “anarchico”, al quale l’artista ha improntato la sua vita.

Assai stretto è il legame che salda con coerenza la sua professione alle prime esperienze pittoriche: i campi magnetici che si sviluppano dal corpo si rispecchiano nelle puntiformi nuvole colorate, negli sfumati effetti di colore, nelle onde cromatiche che la Abbondi ha trattato nelle sue opere di esordio.

Per quanto attiene l’oggi, è difficile dire se l’artista picena possa ancora essere definita una pittrice: certamente la luce e il colore sono elementi costitutivi della pittura, ma la Abbondi ormai non usa più il pennello: modella, buca, assembla, illumina, costruisce le sue opere più che dipingerle, creando delle installazioni che fondono la pittura con la scultura.

Il risultato è sorprendente, tavolta scivolando addirittura nella teatralità, per quanto di arcaico e di contemporaneo la Abbondi combina nelle sue opere: fibre ottiche e led riverberano la loro filante luminosità su garze stazzonate che sembrano appena uscite da un antcio sarcofago, su grumi di gesso che paiono frammenti di un magma primordiale, su reti metalliche cariche di forza evocativa.

Come per certi pittori del Rinascimento eredi della tradizione pierfrancescana, quella di Carla Abbondi è una “pittura di luce”, che anzichè ricorrere ai colori trasparenti intrisi di una loro luminosità interna, sfrutta le tecnologie moderne, portando la luce dentro le sue opere e modellandola come se si trattasse di una materia plastica.

Si realizza così in installazioni come “Alma blanca” l’utopia perseguita per secoli dagli artisti di poter fondere in un insieme coerente la luce con il colore, la forma con lo spazio, superando i limiti imposti dalla pittura per giungere ad un’arte totale, capace di coinvolgere l’osservatore in una esperienza estetica nuova e soprendente.

Stefano Papetti


Cesare Catà _ Il corpo e la luce. La pittura di Carla Abbondi tra misticismo e sensualità

     Nel dipingere e nell’operare di Carla Abbondi sembrano esservi, in modo costante, due poli dialettici che si inseguono e si definiscono a vicenda: il corpo e la luce. Come se la presenza corporea degli esseri umani avesse a che fare con un chiarore misterioso di cui sono espressione; e come se la luce fosse una presenza materica, tattile, quasi tangibile. è questo, in ultima analisi, ciò che a mio avviso esprimono i suoi Bodylight: sono “corpi di luce” nel senso più letterale dell’espressione. Non indicano semplicemente una rappresentazione estetica di bagliori catturati dallo sguardo: più profondamente, espongono la lucentezza dei corpi eliminandone la scorza più esteriore. Come appare evidente, ad esempio, in un’opera quale Extensia, dove garza, gesso, stripes led concorrono a dare vita a una visione di un rosso intenso, onirico e vivo al tempo stesso. Ciò che ne scaturisce non è un mero raggio lucente, ma il rimando semantico a un corpo che per alcuni versi porta quasi con sé la memoria dei prigioni michelangioleschi. Se questo Bodylight può richiamare alla mente l’opera di colui che più di ogni altro conobbe, nella lotta tragica con l’esistenza e con il marmo, il senso materico dell’esistere terreno, ciò accade perché, come dicevo, le visioni che Carla Abbondi fissa con queste opere non sono meri flash interiori, ma rappresentazioni di vive presenze corporee. I Bodylight di Carla, in questo senso, potrebbero essere definiti come una sorta di indagine ai raggi-X che l’artista compie nei confronti dei corpi, per scoprire, dietro e dentro di essi, una materia più profonda di cui sono fatti: una materia di luce. Come se l’essere-al-mondo, nel qui e ora della carne e del sangue umani, non fosse che l’ombra visibile di una luce invisibile. I mistici europei di ogni epoca, d’altronde, da Giovanni l’Eriugena a Meister Eckhart, da Nicola Cusano fino a Edith Stein, si sono costantemente rivolti al buio per indicare l’essenza della luce: quella luce divina che dà forma a tutto ciò che esiste. Dionigi l’Areopagita parlava a questo proposito di un “raggio di tenebra” che proviene da Dio per forare il cuore dell’uomo. Tale richiamo a Dionigi potrebbe essere una perfetta citazione per comprendere la cifra dell’opera di Carla Abbondi, in cui il bagliore sembra emergere dal buio come una forma dal marmo, e in cui la luce, protagonista delle sue opere, sembra in ultima analisi una tonalità del nero.

     Questo mutuo rapporto tra corpo e luce è altrettanto visibile, in modo complementare, in quella che considero essere, personalmente, la parte migliore e più bella dell’opera di Carla Abbondi, ossia i suoi acquerelli. In queste realizzazioni, l’artista si muove in maniera “inversa e complementare”, per così dire, rispetto ai Bodylight. Se nei Bodylight, infatti, i materiali sono utilizzati affinché la luce possa porsi ed esprimersi come una forma corporea, negli acquerelli i corpi sono descritti affinché se ne mostri l’essenza lucente. Nell’uno e nell’altro caso, nonostante il procedimento artistico inverso, ma anzi proprio a ragione di ciò, possiamo comprendere quella dialettica intrinseca tra corpo e luce che vorrei indicare come cifra globale di quest’opera. Opere come Il risveglio di Venere o Fly si muovono esattamente in questa direzione. Con un tocco estremamente dolce e con una espressività molto intensa, questi acquerelli riescono nel proposito di armonizzare i colori per testimoniare, sulla carta, la presenza della bellezza dei corpi. E, in senso emintemente platonico, tanto più appare la bellezza materica, altrettanto siamo spinti verso l’immateriale. è in questo preciso senso che possiamo intendere le figure, a un tempo così terrestri e così eteree, di Carla Abbondi. Dai suoi delicatissimi nudi, alle lucciole protagoniste di tante sue opere, alle ninfee in cui risuona l’eco dell’ultimo e miglior Monet.

     Distinguendosi dalla triste deriva di tanta arte contemporanea, attratta fatalmente nel vuoto calderone della cosiddetta “arte concettuale” (quell’arte “anarchica e nichilista”, come la chiamava Hans Sedlmayr), quella di Carla Abbondi è un’opera semantica. Un’opera che paradossalmente permane, persino nei più arditi dei suoi Bodylight, come un’arte dal respiro figurativo. Un’arte, cioè, per la quale il primum non è il segno, ma il significato: non il concetto, ma il senso. Tale indirizzo artistico corrisponde non a caso al mutuo rapporto tra corpo e luce che vorrei indicare in queste opere. Infatti, tale rapporto può essere concepito, preservato ed espresso solo in una visione che sia in grado di rispettare, ascoltare e infine mostrare la realtà del mondo esterno nella sua pulsante verità, senza ridurla alla vuotezza eidetica del concetto che sta – per conto suo – nella mente dell’artista, ingiudicabile e incomunicabile. Qui, a mio avviso, siamo di fronte a un’altra impostazione, a una diversa Weltanschauung, in cui materia e luce, corpo e spirito – cosa e significato – sono inscindibilmente connessi.

     Se la luce, come a mio avviso queste opere suggeriscono, può essere in qualche modo considerata l’essenza misteriosa e invisibile della materia, l’impeto erotico non è altro che il risplendere, nel corpo, di questa luminosa, profonda essenza. Ecco che allora le opere di Carla Abbondi, mettendo in scena in modo preminente e fondamentale il mutuo e misterioso rapporto tra corpo e luce, non possono non avere la sensualità quale definitivo protagonista del clima delle sue composizioni.Si aprono qui interessantissime prospettive su come la presenza dell’uomo sulla terra sia direttamente connessa con una trascendenza ulteriore. La luce, di cui parla Carla con le sue opere, in questo preciso e fecondo senso, può allora essere considerata l’essere dell’esistere dei corpi, e la sensualità erotica il suo fondamentale bagliore. Per questo motivo, sembra risuonare, in questi componimenti, il monito di uno scrittore francese, quando diceva: “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Invisibile come la luce…

Cesare Catà